Nel 1910 fu scoperta la Tomba di Selvagrossa

Nel marzo del 1910, a tre km. a sud-est di Campagnano, sulla destra della via provinciale che conduce a Sacrofano, in vocabolo Selvagrossa, fu scoperta casualmente una tomba. Essa fu clandestinamente scavata dal proprietario del terreno e la sua suppellettile, che comprendeva alcuni vasi a figure rosse di stile severo, fu abusivamente venduta. L’autorità tutoria seppe dello scavo e della vendita soltanto quando il materiale era già stato disperso. Furono tuttavia sequestrati alcuni oggetti e tra essi i frammenti dei due vasi. Il poco materiale salvato dalla dispersione si conserva ora nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, in Roma.
Se si presta fede alle testimonianze orali dei primi scavatori, furono trovate delle lastre di pietra incassate nel terreno: di esse una era quadrata (1 m. di lato). Presso le lastre erano collocate due piccole urne di pietra con coperchio testudinato (guscio di testuggine). Le urne contenevano delle ossa bruciate. I vasi a figure rosse furono raccolti vicino a queste urne. Fuori delle lastre vi era una grande ammasso di cenere e in mezzo a questo ammasso una piastra di bronzo ossidata e contorta, che è poi risultò essere uno specchio.
La ceramica a figure rosse del vaso di Selvagrossa
La ceramica a figure rosse fu una tecnica per la decorazione di vasi in terracotta introdotta ad Atene nel 530 a. C. dove sostituì gradualmente la più antica tecnica della ceramica a figure nere.
Rispetto alla tecnica a figure nere, le figure rosse donavano un nuovo rilievo alla forma del vaso, esaltandone con il nero di fondo, la linea di contorno. Le libertà concesse dalla nuova tecnica permisero ai pittori di approfondire lo studio e la rappresentazione dell’anatomia umana e del corpo in movimento.
I materiali ceramici rinvenuti della Tomba etrusca di Campagnano, oltre ai vasi etruschi dei Danzatori di Selvagrossa
I materiali ceramici in argilla, bucchero e bronzo riportati alla luce, furono esaminati e descritti dallo studioso Alessandro Della Seta. Riportiamo qui i passi più significativi della sua relazione sui rinvenimenti più pregiati.

Frammenti di uno Skyphos attico
Lo Skyphos attico è una profonda coppa per bere con due piccole anse a vernice nero-marrone, con corpo a tronco di cono alquanto rigonfio nella parte alta a labbro leggermente obliquo. La parte inferiore del vaso è verniciata e solo una strisciolina rimane nel colore originale dell’argilla. Nella parte superiore tra due fasce nere sono rappresentate quattro Menadi danzanti verso destra, con le braccia alzate, in mezzo a tralci di vite. Il labbro del vaso era verniciato.
Frammenti di una Kylix attica
La Kylix attica è una coppa da vino in ceramica a figure rosse di stile severo. La coppa era decorata soltanto nell’interno. Dentro una fascia a meandro è rappresentato un uomo che corre. Dal suo braccio sinistro disteso pende una chlaina (mantello) e nella destra tiene orizzontalmente un bastone. La figura ha intorno alla testa una corona di piccole foglie, dipinta con vernice rosso-violacea, molto diluita. Con questa stessa vernice sono dipinte sui diversi frammenti alcune lettere, tra cui solo un L è sicuramente identificabile. Probabilmente sono avanzi della solita iscrizione: HOMAIS KALOS. L’argilla, là dove non è coperta dalla vernice nera, è molto corrosa e quindi si distinguono poco i tratti del viso.
(La parola καλός significa “bello”, ma all’interno di questa formula assumeva connotazione erotica; l’iscrizione era formata dal nome di un giovane, al nominativo singolare, seguita dall’aggettivo “kalós” (“… Kalos”, cioè “… [è] bello”). Contemporaneamente alla comparsa di queste iscrizioni vascolari, si assiste alla proliferazione di scene a carattere pederastico, ma sotto forma di carezze piuttosto che di atti sessuali espliciti). da Wikipedia

Tre frammenti del corpo di un vaso attico a figure rosse di stile severo.
In alto si conserva parte di un kymation (modanatura dal profilo curvo) e al di sotto la testa e parte del corpo di un uomo barbato di profilo verso sinistra. Intorno ai capelli egli ha una corona a piccole foglie, dipinta con vernice rosso-violacea.
Con la stessa vernice è dipinto accanto al profilo un A.
Simpulum e Olpe di bronzo
Il Simpulum di bronzo è un mestolo con lungo manico ad asta quadrangolare che si biforca in due teste di cigno. La scodella è a fondo leggermente ricurvo e ad orlo dritto.
L’ Olpe di bronzo è una brocca. Il fondo è distaccato e se ne conserva solo una parte. Il corpo è a tronco di cono con il massimo diametro in alto, la spalla e il collo sono a superficie concava e la bocca è circolare con orlo rovesciato. In basso il manico termina in una zampa felina, la quale tiene ferma una protome leonina schiacciata, ai cui lati pendono due zampette feline.
Gli oggetti rinvenuti, nel loro complesso hanno la data più alta, tra il 490 e il 460, tanto più che ad essa riconducono anche i due vasi che ora si descrivono.
I giovani danzatori degli stamnoi di Campagnano: I vasi dei danzatori di Selvagrossa

I giovani danzatori degli stamnoi (recipienti con il corpo simile a quello di un’anfora, con colli corti e larghi e due piccole anse impostate nel punto di maggiore larghezza, spesso dotati di coperchi) di Campagnano sembrano, per il volto delle figure, tolte da vasi attici a figure rosse di stile severo. Sono due stamnoi di argilla rossiccia molto compatta, con corpo a tronco di cono su listello poco sporgente, con spalla a sezione di sfera, con collo breve, cilindrico a parete concava, con bocca circolare, con labbro rovesciato perpendicolarmente e strigliato orizzontalmente da tre incavi paralleli, con due manici arcuati, a sezione cilindrica, impostati sotto la spalla e rialzati. In questi vasi a figure rosse di imitazione, sono stati dipinti tanto il fondo quanto le figure, in quanto già essi erano stati cotti e non sono stati sottoposti ad alcun processo perché si fissassero i colori. La pittura quindi poteva sparire anche al semplice contatto dell’acqua. E l’acqua è stata adoperata per i nostri due vasi dai loro primi scopritori, che ne volevano vedere pulita dalla terra la superficie: a ciò si deve se le figure sono in parte svanite. In ambedue i vasi si hanno dei giovani danzanti, ma nell’uno i giovani sono nudi, nell’altro portano dei manti, i cui lembi aggiungono movimento alla danza.
Delle tre figure della faccia la prima a sinistra ha il torace di prospetto, la testa e le gambe di profilo verso sinistra. Poggia a terra soltanto col piede sinistro mentre il destro è alquanto sollevato. Ambedue le braccia sono distese e rivolte in basso e ciascuna delle mani sembra tenere un oggetto, non identificabile.
La figura centrale presenta anch’essa lo schema del torso di prospetto tra la testa e le gambe di profilo. La testa è di profilo a sinistra, le gambe sono di profilo a destra. La mano sinistra ha le dita distese, la destra tiene tra
l’indice e il pollice un oggetto a forma d’uovo. Intorno ai capelli la figura ha una specie di corona a treccia, simile a quella così frequente nelle figure dell’arte etrusca.
La terza figura, più che danzare, sembra correre verso destra. Al solito ha il torace di prospetto e le gambe e la testa di profilo, ma le gambe di profilo a destra, la testa di profilo a sinistra. La mano sinistra ha le dita distese, la destra sembra chiusa, ma non si può più determinare se portasse un oggetto.
La danza orgiastica ispirata dal vino sarà certamente rimasta nella vita di questo popolo, che i nemici greci e romani accusavano di esagerato attaccamento ai piaceri materiali, ma si sarà dapprima nobilitata e poi sarà sparita dagli usi funebri.

Un esempio straordinario di pittura etrusca in cui il Danzatore trattiene nella mano un uovo è riscontrabile nella Tomba dei Leopardi di Tarquinia (480 a. C.), inserita è patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO.
(I testi sono stati elaborati da Dionisio Moretti, Annalisa Venanzini e Paola Spaccia)