Le più antiche tracce dell’uomo: il Raschiatoio Laterale e la Palafitta del Lago di Martignano
In tempi remoti il nostro territorio era di una bellezza incantevole. I laghi e i fiumi ad est dei Monti Sabatini, erano così ospitali da attrarre la presenza umana fin dal Paleolitico Inferiore.
Nel suo capolavoro “The Cities and Cemeteries of Etruria” del 1848, George Dennis, raccontando il suo viaggio in Etruria, descrive i laghi di Stracciacappa e Martignano con queste parole:
“Dalla valle di Baccano partono due strade minori che portano ai piccoli laghi di Stracciacappa e Martignano, di origine vulcanica. Quella che porta al lago di Martignano (Lacus Alsietinus), prosegue fino al lago di Bracciano, (Lacus Sabatinus), ma poco prima si biforca. La visita di questi due graziosi laghetti vale la improba fatica di raggiungerli. I luoghi silenziosi e solitari hanno qualcosa di solenne”.
Il RASCHIATOIO LATERALE rinvenuto al Lago di Martignano nel 1978
La testimonianza più antica della presenza umana fu rinvenuta nel 1978, alla profondità di 17 metri dal livello attuale del lago di Martignano. Durante le indagini archeologiche fu rinvenuto un “Raschiatoio laterale” su scheggia clactoniana in selce bruna che giaceva sul fondale, al di sotto di uno strato di limo spesso circa 25 cm., riferibile a 40.000 anni fa. Nella descrizione del reperto fatta dalla dottoressa P. Petitti, viene rilevato che parte del tallone è stato asportato da ritocchi irregolari praticati sulla dorsale; le dimensioni del Raschiatoio laterale sono di cm. 5 per la lunghezza e di cm. 4,5 per la larghezza.
“Nel sistema tipologico di Laplace il gruppo “Raschiatoi” comprende 3 classi, in base alla maniera o al tipo di ritocco usato; quello che si vede nella foto è un R2 cioè un Raschiatoio che presenta un ritocco sul margine laterale.
Tracce del Paleolitico a Campagnano: scopriamo cos’è un RASCHIATOIO
Il Raschiatoio è uno strumento litico utilizzato per raschiare e levigare la superficie di un corpo. In archeologia il termine indica un attrezzo litico impiegato dal Paleolitico al Neolitico ricavato da una scheggia di pietra , molto spesso di selce, impiegato spesso per la rimozione e la preparazione delle pelli animali. L’uso era particolarmente diffuso nel Musteriano, (da circa 120.000 a circa 40-35.000 anni fa)”. (A. Venanzini)
In archeologia il termine indica un attrezzo litico impiegato dal Paleolitico al Neolitico ricavato da una pietra lavorata con scheggiatura fino a consentirne la presa con le sole tre dita, pollice, indice e medio, molto spesso di selce, impiegato per la rimozione del grasso e il taglio per la preparazione delle pelli animali con le quali realizzavano gli indumenti che le riparavano soprattutto dal freddo. L’uso era particolarmente diffuso nel Musteriano nei territori africani, mediorientali ed europei del mediterraneo.
In paletnologia, strumento litico, ricavato ritoccando una scheggia (più raramente una lama) di selce o di altra pietra; si presume servisse per raschiare pelli di animali o altri materiali.
LA PALAFITTA DI MARTIGNANO
Sempre nel 1978, durante una serie di immersioni, su segnalazione del Sig. Giusto fu localizzata, nel settore Nord-Orientale dell’alveo del lago di Martignano, una zona di fondale che scende dolcemente sino ad una profondità di 32 metri circa dal pelo dell’acqua. Su di un fronte lungo circa 30 metri, i signori N. Abbate, G. Bruno e P. Fedi, rinvennero una struttura lignea, formata da una serie di rami sovrapposti e da pali scortecciati del diametro variante dai 10 ai 35 centimetri; alcuni pali sono infitti verticalmente sul fondale, altri sono invece in posizione orizzontale.
La struttura lignea era posta ai bordi di una parete fortemente inclinata, forse da riconoscere come antica riva. Sul luogo sono state notate delle pietre disposte a circolo che presentavano il lato interno annerito; tracce di fuoco sono visibili anche su alcuni pali ed in alcuni tratti del fondale che in questa zona mostra una superficie molto compatta.
La Palafitta era costruita su una piattaforma di legno strutturale sorretta da pali sempre in legno infissi specialmente nel fondo o sulla riva di fiumi, lagune, paludi o talvolta anche sul terreno asciutto, che sostiene una o più capanne di paglia, legno, canne o altro materiale.
Altre presenze definite “primitive” risultano rinvenute nel vicino bacino di Baccano. Nel 1902, l’ing. B. Bruno, durante i lavori di sistemazione del canale maestro in prossimità dell’Osteria dell’Ellera, ebbe modo di esaminare uno strato nerastro ricco di frammenti osteologici sul luogo che al tempo doveva essere l’antica sponda lacustre. Lo strato era coperto da alluvioni di pozzolane, sabbie e lapilli. La stazione, situata sulla riva sinistra del canale, dovette esistere quando il lago era al suo massimo incremento.
Una seconda stazione, riferibile alla Media Età del Bronzo, è stata individuata recentemente più a Sud del sito precedente dove, sparsi sulla superficie, sono stati esaminati frammenti fittili preistorici.
Le palafitte, nel Neolitico e nell’Età del Bronzo, erano comuni in Italia nella regione alpina e nella Pianura Padana.
In Italia il primo ritrovamento di una palafitta risale al 1860 ed avvenne a Mercurago, nei pressi di Arona , in Provincia di Novara), nella zona dove attualmente è presente il Parco naturale di Mercurago; assieme ai resti della costruzione, tornò alla luce anche una piroga intagliata nel legno. Un altro sito palafitticolo, il cosiddetto Villaggio delle Macine, considerato finora come il più grande d’Italia, è stato rinvenuto nel 1984 a Castel Gandolfo, sulle rive del lago di Albano, nei Castelli Romani.
(I testi sono di Dionisio Moretti, alcune immagini sono state riprese da Paola Spaccia e da Luigi Plos).