Un’antica storia a Baccano
La Valle di Baccano, viva di colori e silenziosa, ci racconta una storia antica 1800 anni.

Come una vecchia madre, curata e custodita da figli riconoscenti che ogni giorno lavorano nella sua fertile pianura, maltrattata troppo spesso da altri, ingrati e incivili che con indifferenza la sporcano con rifiuti di ogni sorta; da un angolo seminascosto dalla vegetazione, a ridosso della moderna e frenetica strada statale Cassia, ci mostra un’importante testimonianza del passato.
Siamo in epoca imperiale, nel III secolo d.C.
A Vacanas, al XXI miglio dell’antica via Cassia, il governo dell’Urbe aveva fatto costruire una mansio del cursus publicus, una stazione del servizio postale romano.
In poco tempo, attorno alla locanda, alle stalle ed alle terme, si era sviluppata una piccola comunità la cui economia era incentrata sul servizio di accoglienza riservato ai viandanti che qui sostavano.

Tutt’intorno erano sorte fattorie, orti e botteghe dove intere famiglie di piccoli commercianti, artigiani, contadini, pastori e pescatori lavoravano assieme ai loro schiavi, affinché tutto fosse ben organizzato, a Vacanas.
La vita si svolgeva tra le sponde del lago di Baccano – buona riserva di pesce che ben si prestava alle esigenze agricole e del bestiame – e la più vivace stazione di posta dove di giorno avvenivano il commercio e lo scambio di prodotti locali.
Di notte una certa tranquillità rispetto a ladri e malfattori era garantita dalla vigilanza della guarnigione di soldati di stanza nella vicina caserma, assegnati al controllo dei documenti di viaggio.

Quando l’odometro, una sorta di contachilometri fissato sull’asse dei carri partiti da Roma, aveva lasciato cadere venti sassolini, il cursor avvisava i passeggeri, prevalentemente funzionari di stato e militari in viaggio di lavoro verso le province romane, che venti miglia erano state percorse sull’antico basolato, era trascorso già il primo giorno di viaggio, quindi bisognava fermarsi per mutare i cavalli.
Poiché i Romani non conoscevano la ferratura, era importante cambiare spesso i cavalli, infatti la dura pavimentazione a basolato a lungo andare poteva danneggiare irrimediabilmente i loro zoccoli, che invece nella stalla di una mansio venivano trattati e rimessi in forma con unguenti medicamentosi.
Ci si riposava nelle stanze della locanda, per riprendere il viaggio l’indomani, alla luce del giorno e alla larga da improbabili incontri.
Il senso di oppressione provocato dal clima umido e appiccicoso, lasciava subito il posto all’agio di poter fare un bagno rigenerante nella natatio, la piscina delle terme, avere un pasto caldo a base di zuppa di fave, carne e pesce arrostiti allo spiedo, formaggio di capra, olive del posto, dolci di miele e frutta secca cucinati dalle mani esperte delle cuoche della taberna.
Prima di coricarsi, una coppa di vino durante una partita a dadi con altri avventori, potevano essere la degna conclusione di una giornata sfiancante.
Scorreva tutto tranquillo, fin quando un fatto di sangue sconvolse e cambiò per sempre il corso degli eventi nella piccola comunità di Vacanas.

C’era un uomo, il Vescovo Alexandro, che da tempo si adoperava a predicare la pace e l’uguaglianza fra gli uomini. Con lo stesso fervore cristiano, si impegnava ad evangelizzare il territorio circostante.
Tra la plebe si diffuse la voce che era in grado di compiere miracoli.
Ciò catturò l’attenzione sospettosa delle truppe di passaggio, forse convinte dal fatto che a Vacanas il cibo non mancava mai e neppure la vocazione all’accoglienza di genti sconosciute.
Voci indiscrete circolarono in fretta negli ambienti vicini all’imperatore, l’Augusto Antoninus, saldamente disposto sul versante pagano.
La crisi politica del III secolo non fece che accentuare l’atteggiamento di ostilità nei confronti della religione cristiana, che era ancora vista come una temibile concorrente.
Nel giorno dell’equinozio di autunno, quando in mezzo ai campi si tirano le somme di quanto si è seminato e quanto si è raccolto e la natura si accinge ad assopirsi, alcuni soldati arrivarono a Vacanas per arrestare il Vescovo.
In catene, fu condotto alla Villa dei Severi al XVII miglio della Cassia (presso l’attuale Casale Sili), per essere processato.
Fu condannato a morte.
Malridotto per le torture subite, fu riportato nel Vicus Baccanensis, dove venne gettato vivo nella fornace delle terme pubbliche.
Accadde il miracolo: il Vescovo Alexandro uscì indenne dalle fiamme.

I soldati non si dettero per vinti, portarono il condannato poco fuori dall’abitato, dove fu decapitato sul XX ceppo miliare della Cassia.
L’evento dovette avere una grande eco tra la gente di quel tempo.
I fedeli, si affrettarono a seppellirne il corpo sul luogo del martirio. Cominciarono a venerarlo, a far visita al sepolcro.
Ad Vacanas, teatro del macabro accaduto, si avviò verso la decadenza.
Le terme cominciarono a subire fatti nefasti a causa dei frequenti allagamenti provocati dal lago che le deteriorava e rendeva l’ambiente malsano.
Pian piano la gente preferì spostarsi a vivere poco più a sud, presso la tomba del Santo, dove sorse il Borgo di Sant’Alexandro.
Fu soltanto un secolo dopo, il 23 marzo 321 d.C., dopo che l’imperatore Costantino permise e favorì la diffusione del Cristianesimo (Editto di Milano, 313 d.C.), che la venerazione per il Santo Martire potè esprimersi degnamente con la costruzione, sul luogo della sepoltura, di una chiesa a lui dedicata.
Più tardi, alla fine del IV secolo, Papa Damaso fece costruire una cripta in cui furono deposte definitivamente le spoglie del Santo.
Era un 26 novembre, giorno in cui si commemora il Santo.
Di questa storia, non restano che due pilastrini d’altare, ritrovati per caso da un contadino campagnanese nel 1875 nella zona tra l’Osteria dell’Ellera e Monte Lupoli e conservati a Roma, nel Museo Pio-Cristiano.

La memoria comune, seppur molto sbiadita, dopo tanti secoli trascorsi, non è mai del tutto scomparsa.
In epoca moderna, nel 1661, il cardinale Flavio Chigi e i prìncipi Mario e Agostino Chigi (rispettivamente fratello e nipoti del papa), acquistarono da Flavio Orsini l’Osteria della fontana di Baccano, oggi conosciuta come il ristorante e hotel Il Postiglione.
Al suo interno vollero dedicare una piccola cappella con affresco alla memoria di Sant’Alessandro Martire Vescovo di Baccano. La presenza della cappella è segnalata all’esterno da un piccolo e grazioso campanile.
Ancora oggi, tra i vaccari, i cavallari e gli artigiani della valle, è diffusa la credenza della presenza dello “spiritello di Baccano”, che veglia e protegge tutti i lavoratori di questo magnifico luogo.
A mio padre, appassionato mercante d’arte e di antiquariato, che durante la sua lunga attività nella Valle di Baccano, ha potuto mettere le sue mani esperte, ridonando splendore dopo il restauro, su due pezzi importanti collegati a questa storia: il cavalletto in legno che sorregge la campana della cappella, e il portone seicentesco dell’Antica Posta dei Chigi, stimolando ancora una volta, la mia curiosità.
Giada Venanzini
Bibliografia
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